Ci abbiamo sperato fino all’ultimo, ma purtroppo è di qualche giorno fa la notizia dello slittamento della 17. Mostra Internazionale di Architettura al 2021. Prevista originariamente a maggio, poi ad agosto, la Biennale Architettura si svolgerà da sabato 22 maggio a domenica 21 novembre2021 per le ragioni che tutti conosciamo.
Nuove dare per la Biennale Architettura
Di conseguenza si è imposto un cambio date anche per la 59 Esposizione Internazionale d’arte che si svolgerà ora nel 2022, durerà 7 mesi e si terrà da sabato 23 aprile a domenica 27 novembre.
Vengono invece confermate le altre manifestazioni della Biennale di Venezia:
dal 2 al 12 settembre2020 77. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica diretta da Alberto Barbera;
dal 14 al 24 settembre2020 48. Festival Internazionale del Teatro diretto da Antonio Latella ;
dal 25 settembre al 4 ottobre2020 64. Festival Internazionale di Musica Contemporanea diretto da Ivan Fedele;
dal 13 al 25 ottobre2020 14. Festival Internazionale di Danza Contemporanea diretto da Marie Chouinard
La Biennale si adatterà comunque al momento storico che stiamo vivendo e nei luoghi della manifestazione, il Padiglione Centrale, i Giardini e l’Arsenale, si respirerà aria di arte e cultura.
A partire dal 29 agosto e fino alla fine dell’anno sarà infatti allestita al Padiglione Centrale una mostra su episodi particolarmente significativi della storia della Biennale, che vedrà in dialogo tutte le sue discipline artistiche.
La mostra sarà curata per la prima volta collettivamente da tutti i Direttori artistici dei Settori: Cecilia Alemani (Arte), Alberto Barbera (Cinema), Marie Chouinard (Danza), Ivan Fedele (Musica), Antonio Latella (Teatro), Hashim Sarkis (Architettura) e sarà organizzata con i materiali dell’Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Biennale (ASAC) e con materiali provenienti da altri importanti archivi.
Ai Giardini e all’Arsenale nello stesso periodo avranno luogo attività, spettacoli dal vivo e performance dei giovani artisti della Biennale College dei Settori Danza, Musica e Teatro. Sarà allestita un’arena per proiezioni cinematografiche all’aperto che comprenderà anche il periodo della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica (2-12 settembre). Saranno organizzate visite guidate sulla storia dei Padiglioni e dei Giardini, sede originaria della Biennale Arte. Analoghi percorsi di visite guidate si terranno all’Arsenale, incentrati sulla storia degli edifici e sui restauri eseguiti dalla Biennale.
A breve dovrebbe essere disponibile il programma dettagliato.
BIENNALE DI VENEZIA 17. MOSTRA INTERNAZIONALE DI ARCHITETTURA
How will we live together?
Programmata come da tradizione a fine maggio, in seguito all’emergenza Coronavirus, la Biennale di Venezia ha comunicato le nuove date della 17 Mostra Internazionale di Architettura 2020.
Quest’anno la Mostra sarà aperta al pubblico da sabato 29 agosto a domenica 29 novembre, con pre apertura nei giorni di giovedì 27 e venerdì 28 agosto.
TITOLO: How will we live together?
CURATORE: Hashim Sarkis
PRESIDENTE: Roberto Cicutto
114 i partecipanti in concorso provenienti da 46 paesi, con una rappresentanza crescente da Africa, America Latina e Asia.
65 le Partecipazioni Nazionali negli storici Padiglioni ai Giardini, all’Arsenale e nel centro storico di Venezia
3 i paesi presenti per la prima volta alla Biennale Architettura: Grenada, Iraq e Uzbekistan.
Il Padiglione Italia alle Tese delle Vergini in Arsenale, sostenuto e promosso dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, Direzione Generale Creatività contemporanea, sarà a cura di Alessandro Melis.
Oltre ai partecipanti invitati, la Biennale Architettura 2020 comprende Stations + Cohabitats, ricerche fuori concorso sui temi della Mostra sviluppate da ricercatori di università di tutto il mondo.
Organizzata in cinque scale tra Arsenale e Padiglione Centrale ai Giardini, la Mostra presenta anche grandi installazioni collegate a ognuna delle cinque scale che si disporranno negli spazi esterni dell’Arsenale e dei Giardini.
Cinque architetti e un fotografo di architettura sono infine gli autori del progetto dedicato al gioco a Forte Marghera, che si chiamerà: “How will we play together?“
Quello della Biennale Architettura sta diventando, con il passare degli anni, uno degli appuntamenti più attesi del fitto calendario di eventi cittadino, con un richiamo internazionale di notevole importanza.
Una domanda si fa sempre più centrale:
Quali vantaggi sociali possono derivare dalla presenza dell’Architettura?
Secondo il presidente uscente della Biennale, Paolo Baratta:
“L’architettura ci fa individui più consapevoli, ci aiuta a essere non solo consumatori, ma cittadini, ci stimola a considerare gli effetti indiretti delle nostre azioni, ci aiuta a comprendere meglio l’importanza dei beni pubblici e dei beni gratuiti. Ci aiuta a sviluppare una visione del welfare più completa.”
E’ per questo che mi vorrei soffermare sul titolo della Mostra di quest’anno, titolo che trovo forte e più che mai di attualità: How will we live together?
Interessanti a proposito le parole del curatore, l’architetto libanese Hashim Sarkis, che riporto qui di seguito:
“Abbiamo bisogno di un nuovo contratto spaziale. In un contesto caratterizzato da divergenze politiche sempre più ampie e da disuguaglianze economiche sempre maggiori, chiediamo agli architetti di immaginare degli spazi nei quali vivere generosamente insieme:
insieme come esseri umani che, malgrado il crescente individualismo, desiderano connettersi tra loro e con le altre specie nello spazio digitale e in quello reale;
insieme come nuove famiglie in cerca di spazi abitativi più diversificati e dignitosi;
insieme come comunità emergenti che esigono equità, inclusione e identità spaziale;
insieme oltrepassando i confini politici per immaginare nuove geografie associative;
insieme come pianeta intento ad affrontare delle crisi che richiedono un’azione globale affinché si possa continuare a vivere.
Il tema della Biennale Architettura 2020 è il suo stesso titolo. Il titolo è una domanda. La domanda è aperta:
How: parla di approcci pratici e soluzioni concrete, evidenziando il primato della risoluzione dei problemi nel pensiero architettonico.
Will: segnala lo sguardo verso il futuro, ma ricerca anche visione e determinazione, attingendo al potere dell’immaginario architettonico.
We: sta per la prima persona plurale, è quindi un termine inclusivo (di altri popoli, di altre specie) e richiama una comprensione più empatica dell’architettura.
Live: significa non solo esistere ma anche prosperare, fiorire, abitare ed esprimere la vita, attingendo dall’ottimismo intrinseco dell’architettura.
Together: implica azioni collettive, beni comuni, valori universali, evidenziando come l’architettura sia una forma collettiva ma anche una forma di espressione.
?: Indica una domanda aperta, non retorica, che cerca (molte) risposte, celebra la pluralità di valori attraverso l’architettura e nell’architettura stessa.
La domanda “How will we live together?” è allo stesso tempo antica e urgente. È una domanda tanto sociale e politica quanto spaziale. Aristotele, quando si pose questa domanda per definire la politica, propose il modello di città. Ogni generazione se la pone rispondendo in modo diverso. Recentemente le norme sociali in rapida evoluzione, la crescente polarizzazione politica, i cambiamenti climatici e le grandi disuguaglianze globali ci fanno porre questa domanda in maniera più urgente e su piani diversi rispetto al passato. Parallelamente, la debolezza dei modelli politici proposti oggi ci costringe a mettere lo spazio al primo posto e, forse come Aristotele, a guardare al modo in cui l’architettura dà forma all’abitazione come potenziale modello di come potremmo vivere insieme. “
Sempre secondo Sarkis, si va quindi verso un rinnovato impegno attivo per l’architettura:
“La Biennale Architettura 2020 è motivata dai nuovi problemi che il mondo pone all’architettura, ma si ispira anche all’attivismo emergente di giovani architetti e alle revisioni radicali proposte dalla pratica dell’architettura per affrontare queste sfide.
Gli architetti sono coloro che chiamano a raccolta i diretti interessati. Questo è inerente al lavoro che fanno gli architetti. Gli architetti riassumono i diversi settori, coordinano le diverse professioni e li rappresentano al cliente. Sono i custodi del contratto. Ma oltre a questo, l’architettura suggerisce possibili organizzazioni sociali attraverso il modo in cui dispone, isola e collega gli spazi. L’architettura modella anche i monumenti, i ricordi e le espressioni di società e gruppi, creando un linguaggio comune attraverso il quale discutere e comunicare esperienze e culture.
Gli architetti oggi stanno ripensando gli strumenti a loro disposizione per affrontare i problemi complessi in questione. Stanno anche estendendo il tavolo ad altri professionisti e ai cittadini. Per assumere concretamente le responsabilità che gli vengono presentate, gli architetti stanno dilatando uno dei loro ruoli più importanti, quello di chiamare a raccolta altre forme di competenza ed espressione.
Ma più che mai, gli architetti sono chiamati a proporre alternative. Come cittadini, impegniamo le nostre capacità di sintesi per riunire le persone attorno alla risoluzione di problemi complessi. Come artisti, sfidiamo l’immobilismo che deriva dall’insicurezza di chiedere “Cosa succederebbe se?”. E infine come costruttori, attingiamo dal profondo del nostro inesauribile ottimismo.
La convergenza di ruoli in questi tempi nebulosi non può che rendere più forte la nostra missione e, speriamo, più bella la nostra architettura. “
Come accennato precedentemente, la Biennale Architettura 2020 è organizzata in cinque scale, tre in Arsenale e due al Padiglione Centrale. I progetti spaziano dall’analitico al concettuale, dallo sperimentale al collaudato e all’ampiamente diffuso.
Scala 1: Among Diverse Beings (Arsenale)
Progettare per Nuovi Corpi: affrontare i cambiamenti nella percezione e concezione del corpo umano.
Vivere con gli Altri Esseri: mettere in primo piano l’empatia e l’impegno nei confronti di altri esseri.
Scala 2: As New Households (Arsenale)
Servire nuove realtà demografiche: rispondere ai cambiamenti della composizione delle famiglie e alla loro densità.
Abitare la nuova tettonica: esplorare le tecnologie per costruire alloggi innovativi.
Vivere Indipendentemente Insieme: espandere le potenzialità del condominio come una tipologia abitativa collettiva.
Scala 3: As Emerging Communities (Arsenale)
Impegnarsi in varie forme di senso civico: studiare nuovi modi in cui le comunità si possono organizzare nello spazio.
Riequipaggiare la società: proporre nuove forme di attrezzatura sociale (parchi, scuole, ospedali…).
Riunirsi a Venezia: immaginare il futuro della città.
Coabitare: mostrare come viviamo insieme… ad Addis Abeba, nel campo per rifugiati di Al Azraq a Beirut, a Hong Kong, nei corridoi India-Pakistan, nell’insediamento abusivo di Lagos, a New York, a Pristina e nella zona di Rio-San Paolo.
Scala 4: Across Borders (Giardini, Padiglione Centrale)
Superare il divario urbano-rurale: mitigare le crescenti differenze sociali ed economiche tra le città globali e le aree interne.
Collegare il Levante: negoziare le forti divisioni politiche nella regione del Levante.
Colmare le infrastrutture: capire come la progettazione infrastrutturale possa fornire nuove connessioni trans-regionali.
Proteggere i beni comuni globali: portare l’immaginario architettonico verso tesori in via di estinzione come i Poli, l’Amazzonia, gli oceani, la regione indo-pacifica e l’aria.
Scala 5: As One Planet (Giardini, Padiglione Centrale)
Fare mondi: anticipare e calibrare il futuro del pianeta.
Unire le Nazioni: celebrare il 75. anniversario delle Nazioni Unite, rivedendone e ampliandone lo scopo spaziale.
Cambiare i progetti per il cambiamento climatico: presentare soluzioni per far fronte al riscaldamento globale.
Spazio della rete: collegamenti tra la Terra e lo spazio.
LA BIENNALE E’ ANCHE…
WEEKENDS ON ARCHITECTURE
I Weekends on Architecture integrano il programma della 17. Mostra attraverso una serie di conferenze e incontri con architetti, studiosi e professionisti di tutto il mondo che cercheranno di rispondere alla domanda How will we live together?.
Tra ottobre e novembre 2020 saranno organizzati tre weekend per sei appuntamenti, in ogni incontro si discuterà di due argomenti ispirati alle questioni ricorrenti nei progetti dei partecipanti:
– le nuove sfide che il cambiamento climatico pone all’architettura;
– il ruolo dello spazio pubblico nelle recenti rivolte urbane;
– le nuove tecniche di ricostruzione;
– le forme mutevoli dell’edilizia collettiva in tutto il mondo;
– l’architettura dell’educazione e l’educazione dell’architetto;
– il rapporto tra curatela e architettura.
BIENNALE SESSIONS
Progetto dedicato alle Università, alle Accademie e agli Istituti di Formazione Superiore. L’obiettivo è quello di offrire una facilitazione a visite di tre giorni da loro organizzate per gruppi di almeno 50 tra studenti e docenti, con la possibilità di organizzare seminari in luoghi di mostra offerti gratuitamente e assistenza all’organizzazione del viaggio e soggiorno.
EDUCATIONAL
Anche per il 2020 è prevista un’ampia offerta che si rivolge a singoli e gruppi di studenti, bambini, adulti, famiglie, professionisti, aziende e università. Tutte le iniziative puntano sul coinvolgimento attivo dei partecipanti e sono condotte da operatori selezionati e formati dalla Biennale e si suddividono in Percorsi Guidati e Attività di Laboratorio.
OFFERTA EDITORIALE
Il catalogo ufficiale, dal titolo How will we live together?, è composto di due volumi.
Il Volume I, a cura di Hashim Sarkis, è dedicato alla Mostra Internazionale.
Il Volume II è dedicato alle Partecipazioni Nazionali e agli Eventi Collaterali.
La Guida della Mostra è studiata editorialmente per accompagnare il visitatore lungo il percorso espositivo.
La proposta editoriale è arricchita da due volumi in lingua inglese, dal titolo Cohabitats ed Expansions, che riflettono sui temi sviluppati dalla Mostra.
Lessico veneziano – parte seconda: in giro per calli, campi e canali
Terminato il nostro bacaro tour, passiamo al lessico toponomastico, forse più noto e molto interessante per capire il funzionamento della città e un po’ della sua storia.
Venezia ha spesso attinto da lingue come il latino, il francese o l’arabo per esprimere la propria toponomastica anche se molti termini sono rimasti in dialetto.
Le differenze con le altre città sono comunque tante e saltano subito all’occhio non appena si arriva nella città lagunare.
Innanzitutto per la numerazione. I numeri anagrafici sono progressivi e non sono divisi in pari e dispari (i pari da un lato della strada e i dispari dall’altro).
A Venezia è infatti in uso un vecchio sistema civico austriaco, introdotto tra il 1797 e 1805 e si parla di numerazione civica a insulario.
I numeri non terminano con il finire della strada, ma proseguono per tutta l’estensione del sestiere. Se ti perdi dimentica mappe e GPS, solo qualcuno del posto ti può aiutare.
E’ inoltre possibile che tu ti imbatta in “vie”, o meglio calli, che abbiano lo stesso nome, quindi quando cerchi un luogo o hai appuntamento con qualcuno, è importante farti precisare il sestiere in cui si trova il luogo che stai cercando o farti indicare il “campo” più vicino.
E i nomi delle strade dove sono indicati?
Su dei cartelli stradali o su targhe di marmo o di metallo fissate al muro o in cima a pali, mi risponderai. E no! A Venezia troverai qualcosa di più artistico e poetico, il NIZIOLETO: letteralmente significa piccolo lenzuolo. I nomi delle località sono scritti direttamente sui muri, entro rettangoli di malta dipinta di bianco con la calce e contornati da una riga nera.
Ma ecco nel dettaglio i nomi che sentirai più di frequente.
Questo elenco non è esaustivo, ma spero possa aiutarti a prendere dimestichezza con alcuni termini e perché no, a toglierti qualche curiosità.
SESTIERE: quartiere; fin dai tempi antichi Venezia è stata divisa in sei parti. Esistono infatti sei sestieri, tre per ogni sponda del Canal Grande:
Cannaregio: così denominato perché sviluppatosi in una zona paludosa dove erano frequenti i canneti; viene considerato uno dei più autentici della città;
San Marco: prende il nome dall’omonima basilica;
Castello (detto anche “Olivolo”): ha preso il nome da un fortilizio ormai scomparso attorno a cui si è sviluppata l’area. E’ il sestiere più grande e popolato.
Dall’altro lato del Canal Grande abbiamo:
Dorsoduro: probabilmente il suo nome richiama le compatte dune di sabbia di questa zona;
San Polo: prende il nome dalla chiesa di San Polo, è al centro di Venezia e in questo sestiere si svolge il famoso mercato del pesce;
Santa Croce: prende il nome dalla demolita chiesa di Santa Croce e comprende anche Piazzale Roma, il Tronchetto e la Stazione Marittima.
Queste suddivisioni non esauriscono la zona storica che costituisce la città di Venezia.
Le isole della Giudecca fanno parte del sestiere di Dorsoduro, l’isola di San Giorgio Maggiore fa parte del sestiere di San Marco e l’isola di San Michele, sede del cimitero cittadino, di Castello.
L’indirizzo di un’abitazione o di qualsiasi luogo è definito quindi dal Sestiere e dal numero civico. Ad esempio, il nostro bed-and-breakfast si trova a Cannaregio 5107.
Se si vuole essere più precisi, è possibile poi precisare la calle.
CALLE: il termine deriva dal latino “callis” che vuol dire sentiero, viottolo.
A Venezia indica una strada lunga e per lo più stretta. Ce ne sono addirittura di strettissime, dove è consentito il passaggio di una sola persona.
Nel post “Venezia vista dall’acqua”, Marco e Rachele consigliano di raggiungere Calle Varisco, a quanto pare tra le più strette di Venezia. La sua larghezza? 53 cm.
I nomi delle calli vengono spesso riferiti ai lavori che venivano eseguiti lungo queste strade, così troviamo:
calle del Pestrin: artigiani che lavoravano e vendevano il latte e i suoi derivati,
calle del Pistor: fornaio,
calle del Tagiapiera: artigiani che lavoravano di scalpello per lisciare e rifinire la pietra e scolpire gli elementi decorativi lapidei,
calle dei botteri: costruttori di botti e bottiglie ecc.,
oppure fanno riferimento ad un altare o un capitello, come calle del Cristo, calle della Madonna, calle del Paradiso,
oppure ancora prendono il nome della famiglia nobiliare che abitava in quella zona, come calle Dolfin, calle Vallaresso, calle Cavalli … o per un fatto accaduto di grande rilievo, come calle del Perdon o calle dei Assassini.
Calle si usa normalmente anche in Spagna ed assume lo stesso significato.
Altre varianti sono “calletta”, “calle lunga” e “calle larga”.
A Venezia esistono oltre 3000 “calli” ed esse rappresentano la vera struttura indispensabile per la viabilità.
FONDAMENTA: la strada che costeggia un canale e che ha anche funzione di fondamenta per gli edifici che vi sorgono. Alcune fondamenta prendono il nome di rive.
Esse hanno sempre disponibili degli approdi per le imbarcazioni. Mi piace immaginare le fondamenta come il simbolo della convivenza tra terra e mare.
CANALE: la via d’acqua, percorribile con una barca a remi o a motore. Essi possono essere costeggiati da rive o da palazzi. I più noti sono il Canal Grande, il Canale di Cannaregio o quello della Giudecca.
CAMPO: in un’altra città parleremmo di piazza. Nei tempi antichi i campi si presentavano ricoperti d’erba e spesso vi pascolavano pecore e cavalli. Alcune volte erano il sagrato delle chiese e vi avvenivano le sepolture.
Solo più tardi i campi vennero selciati assumendo così l’aspetto che vediamo al giorno d’oggi. Ai tempi della Serenissima in ogni campo c’era almeno una vera da pozzo dalla quale si poteva attingere acqua potabile per uso domestico.
CAMPIELLO: è un campo più piccolo, oltre ad essere il nome del famoso premio letterario la cui premiazione avviene ogni anno all’interno del Cortile di Palazzo Ducale nel mese di settembre.
SOTOPORTEGO: sottoportico, pezzo di via che si trova al di sotto delle abitazioni.
CORTE: il termine deriva da cortile. Si tratta di una piccola piazza circondata da case e ha solo un’entrata. La corte può avere uno sbocco sul canale; al centro è possibile trovarvi una vera da pozzo.
Gli appassionati di Corto Maltese ricorderanno Corte Sconta (cioè nascosta) detta Arcana menzionata in “Favola di Venezia”. Altro non è che Corte Botera, un intimo angolo di Venezia vicino alla Basilica dei Santi Giovanni e Paolo. Ma questa è un’altra storia ….
Finto nizioleto presente nel giardino dell’Osteria Corte Sconta
CA’: sta per casa. I veneziani utilizzavano solitamente questa abbreviazione per indicare le case delle famiglie nobili.
Per citarne alcune: Ca’ d’Oro, sede della Galleria Franchetti o Ca’ Foscari sede dell’Università.
FONTEGO: il termine deriva dall’arabo funduq, ossia deposito per le merci.
Il Fontego era un grande edificio dove venivano conservate le merci. I fondaci pubblici stoccavano farina e miglio, mentre altri furono destinati ai Turchi e ai Tedeschi per facilitare i loro commerci.
Il Fontego dei Tedeschi è forse oggi quello più noto in quanto sede di uno store di lusso, a pochi passi dal ponte di Rialto, e dotato di una bella terrazza da cui si può approfittare di una vista stupenda della città.
L’interno del Fontego dei Tedeschi
LISTA: La liste erano delle strade localizzate nelle vicinanze di un’ambasciata straniera.
In questo modo veniva delimitato il tratto in cui i diplomatici potevano godere di particolari immunità. La più famosa? Lista di Spagna, che trovi alla tua sinistra, non appena si esce dalla stazione Santa Lucia, in direzione della Strada Nuova.
MERCERIA: strada fiancheggiata da numerosi negozi. Oggi indica la via più animata di Venezia, le Mercerie, che unisce Piazza San Marco a Rialto, dove è possibile trovare numerose boutique di lusso.
PISCINA: erano stagni usati originariamente per l’esercizio del nuoto o della pesca. Queste zone furono interrate per consentire la costruzione di edifici e per facilitare il transito alle persone.
RAMO: la stradina che si dirama da una calle principale. Esso può congiungere due strade ma anche un campo; talvolta il ramo non ha via d’uscita.
RIO: Piccolo canale; ce ne sono oltre 400 e sono delle vie d’acqua, usate per i trasporti di cose e persone.
RIO TERA’: rio interrato, la strada che si otteneva in seguito all’interramento di un canale. Molti rii furono interrati specialmente nell’ottocento. Al di sotto spesso vi scorre ancora l’acqua dell’antico canale.
RUGA: il termine “ruga” deriverebbe dal francese “rue” e indica una strada fiancheggiata su ambo i lati da negozi e abitazioni.
SALIZZADA: erano così chiamate le strade più larghe, e anche le prime a essere lastricate da pietre, i masegni. Prima di venire selciate, anticamente tutte le vie della città erano in terra battuta.
MASEGNI: blocco di pietra intagliato in modo da farne un elemento della pavimentazione.
I masegni utilizzati per pavimentare le calli di Venezia furono estratti dapprima dalle cave di pietra d’Istria a Rovingo in Istria; poi si passò alla trachite euganea estratta a Montemerlo in provincia di Padova. Furono utilizzati nel Settecento per sostituire la pavimentazione più antica di mattoni in cotto a spina di pesce: questa pavimentazione è ancora visibile nel campo antistante alla chiesa della Madonna dell’Orto. Ogni masegno pesa all’incirca 40 kg.
Una bella passeggiata, non trovi? Spero tu abbia preso scarpe comode con te: è la prima cosa da mettere in valigia quando si parte per Venezia. Ricorda: Venezia la si scopre a piedi come una piacevole sorpresa. Per il resto, lascia fare, è la strada che ti condurrà. Non aver paura di perderti a Venezia, è solo così che scoprirai la sua anima.
Lessico veneziano – parte prima: bacari, cicheti & Co.
Visitare e soggiornare a Venezia porta a familiarizzare e a prendere dimestichezza con un certo lessico e con alcuni vocaboli (di toponomastica e non) che sono propri alla città e che non ritroviamo altrove.
Me ne rendo conto soprattutto al momento del check-in con i nostri ospiti.
Io, non veneziana, mi sono appropriata di certe parole o espressioni che oggi uso naturalmente, ma che non sono così scontate per chi mi ascolta.
Ecco qui una rapida carrellata delle parole più utilizzate e che sono sicura sentirai e utilizzerai durante la tua permanenza… mi raccomando prendi nota!
Sarà forse l’ora in cui sto scrivendo questo post, o la primavera che avanza, ma mi viene spontaneo iniziare dal linguaggio più prettamente “culinario”.
Se ripenso al momento del check-in con i nostri ospiti, una delle prime domande che mi sento rivolgere è:
Mi consiglieresti un posto dove mangiare qualcosa di buono, di locale e di non eccessivamente costoso ?
Risposta: vieni qua che ci penso io! Cioè, siediti, prendi mappa e penna e apri bene le orecchie. Ti farò scoprire un mondo!
Ed è così che inizio a sciorinare un po’ di termini.
BACARO: Per me i bàcari sono i posti più belli della città ! Il nome “bàcaro” deriva da Bacco, dio del vino. E’ un tipo di osteria a carattere popolare, dove si trova una vasta scelta di vini in calice e piccoli spuntini.
Il locale è spesso di piccole dimensioni, con pochi posti a sedere. Un lungo bancone vetrinato la fa da padrone, in cui sono esposti i prodotti da degustare.
Luce soffusa, musica in sottofondo, arredamento semplice, con mobili in legno (quindi con colore prevalentemente marrone); può sembrare un po’ “old style” rispetto ai bar moderni a cui si è abituati, ma si tratta semplicemente dello stile veneziano.
L’atmosfera è indescrivibile. Alla fine sono le persone che frequentano certi locali che fanno il locale! Ci si ritrova per un aperitivo, che poi diventano due, tre … insomma, si può semplicemente sostare per un saluto e un brindisi o lasciarsi prendere la mano e fare serata.
E’ bellissimo durante le sere primaverili o estive sorseggiare qualcosa al di fuori del locale e chiacchierare con chi sta intorno, che lo si conosca o no. D’altronde a Venezia si sa, tutto nasce lungo la strada, dagli incontri e dalle improvvisazioni.
Il tempo si ferma; esiste solo Venezia.
I Bacari che consiglio di solito? Dipende ovviamente dalla zona in cui ci si trova.
In zona Rialto mi piace dirigermi sul campo dell’Erbaria (vicino al mercato del pesce, per intenderci) con una sosta in particolare “All’Arco” (dove si sta rigorosamente in piedi) o alla Cantina do Spade (ottimo anche per una cena).
Altrimenti, dopo aver attraversato il Ponte di Rialto e aver preso la direzione della Salizada San Lio, puoi provare l’Osteria Al Portego: pochi posti all’interno, ma si può stare comodamente fuori … sotto il portico.
Un altro posto magico è rappresentato dalla Fondamenta della Misericordia: il punto di ritrovo e di festa dei veneziani. E’ un’esperienza da vivere assolutamente.
Lungo la fondamenta si trovano tanti locali, alcuni propongono anche musica dal vivo.
Top: Al Timon(ottima anche la carne se si vuole cenare) e Vino Verodove troverai una fantastica selezione di vini, ma lasciati consigliare dai titolari e non te ne pentirai.
Se invece sei in zona Biennale, anche sulla via Garibaldi troverai un’ampia scelta di bacari. Colpo di fulmine per la Salvmeria dove Bruno e Giorgio, con garbo e simpatia, sapranno sicuramente accontentare il palato più esigente.
Non posso non citare l’Osteria da Filo, a pochi passi dal bellissimo campo San Giacomo dell’Orio. E’ stato forse il primo bacaro che ho conosciuto a Venezia. Ricordo che l’arredamento mi aveva subito colpito, un po’ vintage, un po’ bohémien, addirittura con uno spazio lettura con tanto di divanetti, sempre pieno di ragazzi, e soprattutto tanta musica dal vivo!
ANDARE PER BACARI: passare da un bàcaro all’altro … quasi come se non ci fosse un domani. Scherzo, ma quando la compagnia è buona e ci si ritrova in una bella serata primaverile o estiva, non si contano più le ore e succede spesso che si cambi locale, per raggiungere altri amici o semplicemente per la voglia di cambiare posto o quartiere.
Il bàcaro tour (l’andar per bacari) è ora addirittura una delle attività proposte da molte guide turistiche e che tanti visitatori chiedono non solo per gustare e conoscere le specialità locali ma anche per scoprire le bellezze della città attraverso i diversi sestieri.
Può essere una valida alternativa per scoprire la città, non trovi? Soprattutto se sei in compagnia di una guida accreditata o di una persona del posto.
CICHETI: assaggi di pietanze tipiche.
Per facilitare la comprensione di questa parola con i nostri ospiti li definisco “piccole tapas veneziane”.
Il loro termine deriva dal latino ciccus, che letteralmente significa “piccola quantità”.
Si tratta di un piccolo assaggio di pesce, di carne o salume spesso appoggiati su una fetta di pane o accompagnati da una fettina di polenta.
I prezzi di ogni cichèto variano dai 2€ ai 3€. Si accompagnano divinamente a un bicchiere di spritz, di vino o prosecco.
I miei preferiti? Le polpette di tonno, le sarde in saor, le uova sode con l’acciuga e i crostini di pane con il baccalà mantecato.
Davide invece adora i bovoeti e la milza, soprattutto quella preparata all’Osteria Ruga di Jaffa, a pochi passi da Campo Santa Maria Formosa.
Sono posizionati in quel lungo bancone vetrinato di cui parlavo prima: un vero tripudio di colori e sapori. Non c’è che l’imbarazzo della scelta!
Ora si parla di “finger food” … ma noi preferiamo chiamarli con il loro nome di sempre, Cicheti!
Uova sode con olive e acciughe
OMBRA DE VIN: se ben ricordo (a furia di tutti questi aperitivi non so più cosa scrivo) la leggenda narra che in passato il vino venisse servito in piazza San Marco da venditori ambulanti. Questi erano soliti seguire l’ombra del Campanile affinché il vino rimanesse fresco. Da qui l’uso di chiamare il bicchiere di vino “ombra”.
Potete quindi chiedere un’ombra o un’ombra de vin e vi verrà servito un piccolissimo calice di vino.
Se prima vi ho citato l’espressione “andar per bacari”, potete sentire anche “andar per ombre”.
SPRITZ: ormai questa parola ha varcato i confini nazionali.
E’ l’aperitivo che contraddistingue Venezia.
Un’altra domanda che i miei ospiti mi rivolgono infatti è: “Dove posso bere un buon spritz”?
Questo aperitivo pensate nasce nella zona del Triveneto nell’800, ai tempi della dominazione asburgica. Comandanti, gendarmi e soldati austro-ungarici erano poco abituati alle alte gradazioni alcoliche dei vini veneti, perciò per ammorbidire il loro sapore li allungavano con l’acqua, più precisamente “spruzzavano” acqua nei loro bicchieri. Il termine “spritz“, infatti, deriva dal termine tedesco “spritzen“, che vuol dire “spruzzare”.
È con l’arrivo del seltz, e quindi di un modo per gassare anche l’acqua, che ci si avvicina all’attuale miscela, che prevede, oltre ad una spruzzata di acqua gassata, vino bianco o prosecco ed un bitter alcolico a scelta.
Aperol, Campari, Select o Cynar sono quelli più utilizzati e, proprio questi, conferiscono alla bevanda le inconfondibili sfumature arancio-rossastre, immancabilmente accompagnata da fetta d’arancia ed oliva verde.
E mi raccomando: diffida di chi non ti propone l’oliva!!! (E un po’ di patatine, aggiungerei).
Tutti i bar e i bacari preparano lo spritz. Lo puoi chiedere con del prosecco o con del vino bianco fermo.
Dopo una giornata trascorsa a passeggiare e a visitare la città, può essere piacevole sorseggiare un bicchiere di spritz alla Serra dei Giardini (uno dei miei luoghi preferiti in città) nei pressi di via Garibaldi o se vuoi concederti un piccolo lusso, senza strafare, puoi accomodarti al bar del caffè Florian in Piazza San Marco (il bancone del bar si trova tutto in fondo al locale). Ovviamente pagherai più che in un altro bar ma sarai in uno dei caffè più famosi e antichi al mondo!
Consiglio: lo spritz è fresco e si beve facilmente soprattutto d’estate. E’ vero che a Venezia non si guida, ma non strafare e bevi in maniera responsabile! Già al secondo giro ti assicuro che gli effetti si fanno sentire.
Hai mai visto un video panoramico a 360°? Cosa ti sembra?
I video a 360° sono sicuramente una delle innovazioni più interessanti degli ultimi anni.
Si tratta di video che riprendono la realtà e la trasportano tridimensionalmente o in frame in movimento che fanno “entrare” lo spettatore all’interno di ciò che sta guardando.
Si avrà così la possibilità di scorrere in alto e in basso, a destra e a sinistra il video e immergersi totalmente in ciò che si sta guardando.
La creatività è il punto di forza di questi filmati: i creatori possono sbizzarrirsi sui punti di inquadratura al fine di rendere il video sempre più accattivante ma soprattutto possono cercare i punti di maggiore interazione per far vivere allo spettatore un’esperienza di realtà virtuale.
Anche il nostro bed-and-breakfast vanta il suo primo video a 360, grazie alla giovane fotografa e video maker, Francesca Saccani e alla sua 360 Revolution.
Occhi grandi e profondi e un garbo che è raro incontrare e che ti conquista immediatamente, ma allo stesso tempo piglio sicuro e professionalità: questi sono indubbiamente gli aspetti che più mi hanno colpito di Francesca.
L’incontro con Francesca è sicuramente uno dei più interessanti di questa nostra esperienza veneziana.
Francesca è una fotografa e illustratrice veneziana; ci ha contattato via email un giorno di marzo, dopo aver scovato il nostro bed-and-breakfast su Facebook per proporci di creare un video a 360° della struttura.
Inizialmente credevamo si trattasse di una delle tante richieste che vengono effettuate per poter trascorrere una notte gratuita nella struttura, ma poi la sua proposta ci ha incuriosito e così abbiamo fissato un incontro conoscitivo, durante il quale ci ha illustrato il suo lavoro, ci ha spiegato cos’è un video a 360° e l’idea che voleva realizzare con il nostro bed-and-breakfast:
non solo girare un video per mostrare l’interno della struttura ma chiedeva l’intervento in prima persona di uno di noi che ne illustrasse le caratteristiche e ne raccontasse la storia, l’anima.
La sfida è stata subito accettata; tanta apprensione ma poi la voglia di mettersi in gioco è finalmente prevalsa.
Il risultato? Questo simpatico video di 5 minuti e il ricco incontro con una ragazza dai mille talenti e alla quale auguriamo tanta fortuna nella sua attività!
Vuoi sapere qualcosa in più su di lei e sul suo lavoro ? Ti lascio alle sue parole e alla bella chiacchierata che abbiamo avuto a video ultimato. Una chiacchierata a 360° sul suo percorso, la sua Venezia, i suoi progetti …
Buona lettura e buona visione!
D: Ciao Francesca, puoi presentarti?
R: Sono Francesca Saccani, sono di Mestre, ho studiato presso il Liceo Artistico di Venezia e l’Accademia di Belle Arti, dove ho cominciato a studiare fotografia e ho conseguito il Master di Fotografia allo IED– Istituto Europeo di Design.
D: Com’è nata la passione per la foto?
R: Un po’ è partita da mio padre che aveva una Pentax, ho avuto modo di provare, vedere, giocarci un po’. Quando poi mi sono interessata al disegno, alla prospettiva e a una serie di cose che comunque sono collegate al mondo della fotografia, mi sono avvicinata di più a questo mezzo, fino a quando mi sono presa una mia Reflex e dal disegno sono passata alla fotografia e ne ho fatto il mio lavoro (anche se continuo a disegnare).
D: E al video come ci sei arrivata?
R: E’ un altro gradino, ulteriore, sempre collegato ad un interesse per la prospettiva. Quando disegni cerchi sempre di andare oltre al fatto di avere un’immagine bidimensionale.
Prima mi sono dedicata alla fotografia 3d, quindi con 2 punti di vista per dare un’idea di profondità e successivamente mentre fai fotografia, capita di fare video, montaggi di foto, sono 2 linguaggi che in un certo senso si compenetrano e sempre nella direzione del 3d (anche se il 360 non è 3d) però mi sono interessata alla fotografia 360 e poi ai video.
Quindi ci sono arrivata per esplorare nuovi mezzi, quello che la tecnologia ti può dare in più rispetto a quello che era scontato fino a qualche anno fa (e che era impossibile fare).
D: Cosa ti ha colpito di questa tecnica e cos’è secondo te l’aspetto innovativo che può fare la differenza?
R: L’aspetto innovativo è la totale immersione in un ambiente, quindi poter rendere l’idea di essere in un posto, non essere limitati all’interno di un riquadro.
Al di là della fotografia c’è anche una parte di movimento, si può esplorare attraverso una persona che ti guida e ti parla di un posto, si può esplorare camminando, quindi facendo un percorso all’interno di uno spazio e penso sia molto utile perché puoi andare oltre una distanza fisica e quindi far vedere dei posti o che non sono accessibili, o che sono distanti o comunque dare un’esperienza diversa anche perché si possono vedere col visore della realtà virtuale, quindi volendo uno si trova immerso direttamente all’interno del video.
E’ qualcosa di nuovo che può aprire nuove porte verso un altro modo di percepire le immagini.
D: Che esperienza hai in questo campo?
R: Ho già lavorato all’interno di alcuni eventi, per la Casa dei Tre Oci, o in occasione della festa del Redentore.
Il mio ultimo video l’ho girato all’interno dello spazio Thetis, in occasione dell’inaugurazione della collettiva FRIENDS che è una mostra curata da Antonietta Grandesso, responsabile culturale all’interno dello spazio Thetis.
All’interno di questo giardino ci sono molte installazioni, con un percorso a 360° ci si può immergere all’interno di questo spazio, di questo giardino, avere piccoli dialoghi con gli artisti che possono spiegarti la loro opera o con i curatori di ogni singolo artista, quindi a livello della comunicazione per l’arte è qualcosa che rimane rispetto a una foto, che può darti l’idea di quel momento; durante un’inaugurazione si può parlare con gli artisti quindi capire maggiormente quello che loro volevano dire.
D: Come hai scoperto il nostro bed-and-breakfast e cosa ti ha spinto a volerti immergere all’interno di questa struttura?
R: Volevo proporre questo servizio ma volevo determinate caratteristiche, uno di queste è che ci fossero persone giovani, che usassero mezzi di comunicazione di questo genere, quindi la ricerca che ho fatto è stata su Facebook e il vostro è il 3 o 4 che esce se si cerca un bed-and-breakfast a Venezia.
Mi sono piaciute molto le varie caratteristiche del posto, si intuisce che si tratta di un posto nuovo, con un gusto moderno, luminoso … anche il nome mi è piaciuto, così come il logo … doveva trattarsi di un posto bello. Quando ho visto che siete 2 ragazzi ho pensato che poteva essere il posto ideale, anche la zona è bella, così come il restauro, il fatto di non aver usato una decorazione molto pesante … comunque siete tra i primi, vi muovete bene.
D: Vivi a Mestre, e che rapporto hai con Venezia?
R: Vengo spesso per lavoro; alla fine ho scoperto Venezia studiando. Prima ci venivo da bambina, ma ero sempre accompagnata. Venezia la scopri quando ti perdi e in quel momento lì capisci com’è fatta la città perché non è rettilinea e anche come tempo, non è rettilineo. E’ un posto magico da questo punto di vista.
D: C’è una zona che ti piace più delle altre? Un museo?
R: Una delle zone che preferisco è quella di Cannaregio, perché è rimasta ancora abbastanza intonsa, così come Castello. Sono rimaste un po’ più vere rispetto ad altre aree della città.
A Cannaregio mi piace molto la Chiesa della Madonna dell’Orto che ha dei dipinti particolarmente coinvolgenti del Tintoretto e quella statua del De Santis che ha qualcosa di particolare.
Sono particolarmente legata al Museo di Storia Naturale perché mi appassiona la natura e il modo in cui viene spiegata all’interno del museo.
D: Per un visitatore a Venezia, che consigli daresti?
R: Venezia è particolare, consiglierei di osservare gli spazi, di capire, di immergersi prima di andare subito a vedere un posto particolare. Prendersi un po’ di tempo per passeggiare, capire, senza una meta precisa.
Anche i giardini meritano attenzione, ce ne sono tanti. Osservare semplicemente che dietro i muri dei palazzi ci sono giardini, dei parchi, permette di capire che alla fine Venezia è una città tanto verde anche se non sembra… oltre ai ben noti giardini della Biennale che sono però più recenti rispetto ad altri.
D: Tu sei particolarmente legata all’Associazione Wigwam Club Giardini Storici Venezia, vero?
R: Sì, l’associazione è nata su iniziativa di mia mamma (Mariagrazia Dammicco) non appena si è accorta che stava bene immersa nel verde.
Molti giardini hanno una storia dietro, sono vivi, hanno subito dei mutamenti nel corso dei secoli, però c’è sempre traccia di quello che c’è stato.
Capisci molto anche del palazzo, rispecchiano il proprietario, chi lo cura, ci sono tutta una serie di cose che si sentono all’interno dei giardini. Possono essere spazi verdi di un convento, di un palazzo, è interessante quindi vedere anche gli usi diversi che se ne fanno: come orto, come spazio per rilassarsi …
D: I tuoi progetti futuri?
R: Per quanto riguarda il 360°, vorrei promuovere questi video anche perché in tanti ancora non conoscono questo mezzo.
Vorrei inoltre riprendere un progetto avviato nel 2017 con una mia mostra fotografica.
Si trattava di foto macro in cui venivano messe in relazione le strutture geometriche comuni in diverse forme di vita. Le foto sono state stampate su plexiglass e alcune parti retroilluminate per mettere in risalto le similitudini.
Vedendo queste forme mi sono venute in mente i frattali che sono delle strutture che si ritrovano in natura e che si ricollegano molto spesso alla teoria del caos. In realtà è un tentativo di cercare l’ordine dove sembra che non ci sia e mettere in luce che siamo interconnessi. Non siamo così separati, così divisi … ci sono delle strutture che comunque ci uniscono anche se magari non ce ne rendiamo conto.
Questo è appunto ciò che vorrei riprendere e portare avanti, magari con una nuova ricerca.
D: C’è un libro su Venezia che consiglieresti?
R: Ho realizzato le illustrazioni botaniche della Guida ai giardini di Venezia. Leggendo questa guida si possono scoprire alcuni spazi verdi e attraverso questi, alcuni aspetti della vita e della storia di Venezia.
Guida ai giardini di Venezia / A guide to the gardens of Venice (La Toletta Edizioni, 2013)
D: Venezia per immagini. Qual è la prima immagine che ti viene in mente se pensi a Venezia?
R: E’ un affollarsi di tanti scorci, un labirinto di calli, vere da pozzo e riflessi dell’acqua.
D: C’è una foto di Venezia che hai fatto e a cui sei legata?
R: Sicuramente le foto realizzate all’interno di Palazzo Rizzo Patarol che si affaccia sulla laguna nord: è un posto a cui sono legata ed è un posto particolare. E’ un giardino che ha in sé dei significati ancora inesplorati, è un giardino romantico, c’è una ghiacciaia all’interno della quale c’è un effetto acustico particolare.
Per approfondire: link e consigli di visita e di lettura
L’arte è la base ultima per la riflessione, per l’espressione individuale, per la libertà e per le domande fondamentali. L’arte è l’ultimo baluardo, un giardino da coltivare al di sopra e al di là delle tendenze e degli interessi personali.
Rappresenta un’alternativa inequivocabile all’individualismo e all’indifferenza.Il ruolo, la voce e la responsabilità dell’artista sono più cruciali che in passato nell’ambito dei dibattiti contemporanei.
È all’interno e attraverso queste iniziative individuali che prende forma il mondo di domani, che sebbene sicuramente incerto, è spesso meglio intuito dagli artisti.
Christine Macel
In questi giorni di isolamento forzato è fondamentale pensare a cose positive, che fanno bene al cuore e alla mente.
La presenza dei propri cari, di un cane o un gatto, la lettura di un buon libro o l’ascolto di musica tengono sicuramente compagnia e riempiono le giornate, ma ci sono anche i ricordi.
Sarà anche per la violenza di questa situazione che penso spesso, e quasi mi aggrappo, ad un’opera che mi ha molto colpito, soprattutto per il suo significato: BUILDING BRIDGES dello scultore Lorenzo Quinn. L’ho visitata proprio un anno fa, in una bellissima giornata di maggio.
Dalla fermata del vaporetto Celestia, era possibile raggiungere l’opera a piedi, attraversando la passerella che costeggia le mura dell’Arsenale.
L’opera è stata infatti installata in una conca adiacente all’ingresso dell’Arsenale, un complesso di cantieri navali del XII secolo nel sestiere di Castello; una zona molto interessante di Venezia poco nota e visitata.
Venezia aveva già avuto modo di conoscere Lorenzo Quinn attraverso la sua opera SUPPORT, due grandi mani che spuntavano fuori dall’acqua del Canal Grande per “sostenere” i lati dell’hotel Ca Sagredo, con lo scopo di porre l’attenzione sulla sempre più attuale problematica del riscaldamento globale.
Le mani rappresenterebbero il ruolo che ognuno di noi può avere nel sostenere o meno un patrimonio unico come quello della città di Venezia e, in uno sguardo più ampio, l’intero pianeta.
In concomitanza con la 58. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, Building Bridges è un’installazione temporanea composta da sei coppie di mani “di pietra” monumentali che vanno dai 9 ai 12 metri di altezza e dai 19 ai 26 metri di larghezza.
Sei paia di mani che si collegano in arcate svettanti come se fossero congelate nel tempo. Unendo le cime, le mani imitano le volte di una cattedrale che punta verso il cielo, mentre grandi frammenti di luce solare trafiggono gli spazi vuoti tra di loro.
Un’opera potente, possente che celebra i sei valori universali dell’umanità e che simboleggia i nostri bisogni e desideri comuni.
Amicizia, per il nostro futuro insieme;
Fede, per confidare nel proprio cuore e nella propria autostima;
Aiuto, per costruire relazioni durature;
Amore, lo scopo fondamentale della nostra esistenza;
Speranza di perseverare nel tempo;
Saggezza, per decisioni reciprocamente vantaggiose.
Insomma, tutto ciò di cui oggi sentiamo particolarmente il bisogno.
Le mani congiunte simboleggiano la nostra comunanza, ciò che condividiamo e la nostra capacità di unirci ponendo l’accento sul superamento delle differenze in tutti gli aspetti della vita – geograficamente, spiritualmente, filosoficamente, culturalmente ed emotivamente.
Le mani suggeriscono la necessità di un contatto oltre l’interesse personale, la ricerca della collaborazione umana e dell’unità. Quinn li usa per comunicare emozioni complesse attraverso un lessico di gesti e tatto, riflettendo un ethos di connessione e scambio attraverso il linguaggio dell’arte.
Considerata la sua storia, penso che Venezia sia stata la città ideale per ospitare quest’opera. Usando l’Arsenale come sito per l’installazione, inoltre, l’opera richiama una connessione con la città e la sua storia di grande potenza commerciale in Europa.
Venezia città patrimonio dell’umanità, Venezia città di ponti (architettonici, commerciali, relazionali), Venezia con i suoi visitatori provenienti da tutto il mondo, luogo perfetto per trasmettere e diffondere il messaggio di unità che collega società, paesi, comunità e individui.
Arsenale di Venezia
Mano nella mano per un futuro unito.
Mani che si toccano, mani che si intrecciano, mani che si sostengono, mani che ricevono, mani che accolgono.
Oggi non è possibile, possiamo solo immaginare l’effetto che fa, il bene che fa.
Ritorneremo a intrecciare le nostre mani, più forte di prima. Presto.
Restiamo umani, restiamo uniti. Arte, bellezza e gentilezza ci salveranno.
Oggi ho incontrato Rachele e Marco, due veneziani doc amanti della laguna … una passione che mettono a disposizione di quanti la vogliono scoprire e che hanno trasformato in un vero e proprio lavoro con la creazione di Venice tour by boat.
A bordo del loro nuovissimo taxi, propongono una serie di itinerari che permettono di scoprire luoghi della laguna veneziana, accessibili solo con una barca privata e con l’aiuto di un veneziano esperto.
Una conversazione a più voci che ha rappresentato l’occasione per fare una carrellata dei tour proposti, scoprire meglio la laguna e parlare un po’ di Venezia e della sua fragilità.
Volete prenotare uno dei loro tour e scoprire la laguna a bordo di una barca? Contattate Marco e Rachele e non dimenticatevi del codice promozionale AleTiffany …
A questo punto non mi resta che augurarvi buona navigazione!
D: Ciao ragazzi, potete presentarvi?
R: Io sono Marco, sono il capitano della barca. La nostra ditta si chiama Venice tour by boat ed è nata circa 7 anni fa.
Cerchiamo di dare alle persone un servizio diverso da quello che può essere il classico giro in gondola, che si limita a far conoscere la Venezia turistica. Noi miriamo a far scoprire una Venezia più nascosta. Con me c’è sempre mia moglie Rachele, che è anche mia socia e mia assistente.
Io sono Rachele, anch’io veneziana doc. Come Marco desidero mostrare al meglio Venezia, mi occupo dell’accoglienza dei clienti e durante la navigazione cerco di dare più informazioni possibili sulla laguna, spiegando la storia delle isole, di Venezia, delle usanze locali, mettendo l’accento su aspetti diversi, e fare tutto ciò navigando tra la laguna è semplicemente meraviglioso. Ci sono dei posti che non si conoscono ed è bello farli scoprire agli altri.
Marco: abbiamo constatato che la maggior parte dei visitatori che arriva a Venezia conosce Murano, Burano e Torcello. Per me invece una delle isole più belle e che merita di essere conosciuta è Sant’Erasmo con le sue campagne, dove si possono ancora trovare le usanze di una volta e prodotti artigianali.
Rachele: tante volte mi capita che navigando le persone vedono le barene e non riescono a capire cosa siano. Allora comincio a raccontare com’è nata Venezia, dalle palafitte …e infatti rimangono molto sorpresi.
Marco: spesso il turista che viene qui vede Venezia fatta e finita, ma se non vede le barene non ha la percezione da dove tutto abbia avuto inizio, da dove derivi tutto questo splendore. Venezia è una piccola perla, tutto ha avuto inizio dal fango.
Venezia è molta fatica, ingegno per cercare di strapparla dal mare.
In molti non sanno che il Lido sia un’isola artificiale e non si rendono conto che possono vedere sia la barena artificiale che quella naturale. Alla fine del tour sono molto più arricchiti. Accompagnandoli in laguna e facendoli entrare poi nel bacino di San Marco facciamo notare loro la differenza del moto ondoso, che diventa molto più importante ovviamente nel bacino di San Marco, mentre in laguna c’è meno passaggio, l’acqua è piatta.
Si parla tanto di grandi navi ma per me bisognerebbe rivoluzionare le barche piccole.
Le grandi navi fanno altri malanni, ma le barche piccole rappresentano quella goccetta che batte costantemente sulla riva e te la mangia fino a creare quei disastri che conosciamo.
Forse solo i veneziani si rendono conto di certe cose, soprattutto ora che c’è bassa marea; se osserviamo le fondamenta si vedono veri e propri buchi, perché taxi, alilaguna, barche con una certa stazza portano via tutto.
D: Com’è nata la vostra ditta e l’idea di far conoscere Venezia da una barca?
In realtà siamo maestri d’arte, dei designer, abbiamo una ditta a Murano tutt’ora in attività. Abbiamo avuto l’idea di lavorare nel turismo in seguito ad una vacanza in Grecia dove avevamo prenotato le classiche gite turistiche organizzate.
Non eravamo rimasti per niente soddisfatti dall’organizzazione di questi tour e al nostro rientro ci siamo detti “perché non creare qualcosa di diverso a Venezia dal classico giro in taxi o in gondola”?
E da lì, un po’ alla volta, ci siamo fatti la nostra clientela, ci siamo fatti strada; siamo molto soddisfatti perché ora abbiamo clienti che ritornano o che ci mandano amici, famigliari.
Rachele: Marco è nato sulla barca, è sempre uscito in barca con il papà, ha fatto la guardia costiera, ama il mare, mentre a me piace molto stare in contatto con le persone, quindi abbiamo provato.
Marco: noi abbiamo voluto approcciarci in maniera diversa, curando i clienti e questo ha pagato.
Rachele: è bello vedere la gente contenta alla fine di un tour, ci ringraziano, ci abbracciano … dicono che è stata l’esperienza clou della giornata. Li trattiamo bene, cerchiamo di farli sentire in famiglia.
Marco: oltre al giro turistico, diamo anche alcune dritte su dove andare a mangiare, dove andare a comprare prodotti artigianali locali ecc. Va al di fuori della nostra proposta, ma vediamo che la gente apprezza. Sappiamo quanto sia difficile muoversi a Venezia, è un labirinto, devi sapere dove andare e non trovare la fregatura.
Rachele: ci immedesimiamo nel turista; ci mettiamo nei panni dei clienti visto che anche noi, quando siamo all’estero, gradiremmo ricevere un’accoglienza al top.
D: Potete descrivere uno dei vostri tour ?
Marco: un tour simpatico che si presta soprattutto a famiglie con bambini, è la caccia al tesoro in laguna. E’ un tour che ci siamo inventati dal nulla e che unisce l’utile al dilettevole. I genitori possono ammirare le bellezze della laguna, le isole, mentre il bambino diventa un piccolo capitano. Non appena sale a bordo gli viene consegnata una mappa e man mano che proseguiamo nel percorso, deve riconoscere determinati indizi che trova sulla mappa, per arrivare appunto al tesoro. Alla fine riceve un regalino, è una vera e propria avventura.
Il bambino corre il rischio di annoiarsi a Venezia, mentre il giro in barca lo incuriosisce e ha la possibilità di imparare divertendosi. E’ un gioco che può andare bene fino ai 7 – 8 anni.
Per fare qualche esempio: gli facciamo riconoscere un sottomarino e poi gli raccontiamo la sua storia, il nome che porta ecc. Andando verso Burano chiediamo di riconoscere il campanile storto e ne spieghiamo il motivo … sono quei piccoli input che permettono di far imparare un po’ di storia della città.
Rachele: per chi è più avventuroso o ama la fotografia, li portiamo verso le barene, fuori da Venezia, per vedere le oche, i cigni, i cormorani. Purtroppo questo tour è poco richiesto ma tutti quelli che ho accompagnato sono rimasti a bocca aperta … non ci si aspetta tutta questa ricchezza dalla laguna.
Marco: un altro tour molto interessante è intitolato I colori della vita durante il quale accompagniamo le persone a disegnare le nature morte, portandoli in quei posti in cui si accede solo con barca privata.
Infine, un altro tour bello, ideale per le coppie o per chi viene a Venezia per la prima volta, è il tour del tramonto. Dura un’oretta e mezzo. Carichiamo i nostri clienti alle Fondamente Nove, costeggiamo la laguna nord, li portiamo verso l’Arsenale, l’isola della Certosa e alle Vignole, dove è presente la chiesa più piccola d’Italia. Navigando passiamo davanti al Lido, ci dirigiamo poi verso San Lazzaro degli Armeni, San Servolo per arrivare infine nel bacino di San Marco; per le coppie è fantastico perché arriviamo al momento del tramonto e si possono ammirare dei colori spettacolari.
D: E questa nuova barca? So che si è trattato di un cambiamento e un investimento molto importante per voi.
Sì, si tratta di una barca nuova, avrà 3 o 4 mesi, è un classico taxi veneziano, abbiamo apportato un po’ di modifiche perché a noi serve per i giri turistici e non per fare servizio taxi. Abbiamo alzato di qualche centimetro la cabina in modo da poter entrare più agevolmente. Abbiamo aperto tutto il tettuccio, tipo limousine, quindi se uno vuole può rimanere in piedi a fotografare. Qualora invece ci sia un po’ di brezza o se si desidera un po’ di privacy, si può rimanere seduti sui divanetti. La barca ha tutti gli optional; oltre all’impianto stereo, è presente anche il riscaldamento per l’inverno.
Ha la scaletta per fare il bagno (non in laguna!!), divanetti comodi, è molto spaziosa.
La barca viene divisa in 3 sezioni: la zona di prua dove sono presenti i gradini sui quali abbiamo fatto mettere dei cuscini, per poterli utilizzare come seggiolini.
La parte interna ha 4 salottini e il divanetto dietro che viene chiuso da dalle porte. In questo modo qualora uno non voglia mischiarsi con altre persone ma ha il piacere di fare comunque una gita turistica low cost, riesce ad avere la propria privacy.
Un altro dettaglio particolare è rappresentato dal colore dei divanetti: abbiamo scelto il color Tiffany.
Crediamo sia l’unica barca in laguna ad avere questi colori così sgargianti, estivi.
E’ stato sicuramente un azzardo, chiedono tanta manutenzione e ti diremo tra qualche anno se abbiamo fatto la scelta giusta.
Abbiamo anche un’altra barca, il “work around”, che è il classico open, con la consolle di guida al centro e divanetti davanti e dietro. Resta una barca elegante ma essendo tutta aperta è ideale per il periodo estivo e sconsigliata nel periodo invernale.
D: La nuova barca ha un nome?
No, deve ancora venire fuori. E’ la barca che decide e che tira fuori il nome.; ci dirà lei come vorrà farsi chiamare. L’altra barca storica di cui ti abbiamo appena parlato si chiama One Night.
D: Mi chiedo sempre: Venezia, perché? Perché secondo me Venezia è una scelta: si sceglie di venirci a vivere, si sceglie di restare …
Marco: domanda bella, complessa… perché venire? Perché è una città unica al mondo, che si gira tutta a piedi. Sembra scontato per noi veneziani ma venire a Venezia e non muoversi in macchina ha un suo perché. Ci si muove sull’acqua e non sotto, come per altre città può essere l’uso della metropolitana…
Perché restare ? Perché non è una città vecchia come pensano in molti, è una città difficile. Devi restare sempre giovane a Venezia perché se inizi ad avere difficoltà a camminare e a fare i ponti, la terra ferma è sicuramente la soluzione ideale.
Ai nostri clienti consiglio sempre di perdersi, di scegliere un posticino che sia il loro, così avranno qualcosa in più da raccontare.
Rachele: non potrei pensare a un’altra città che non sia Venezia. Nonostante sia nata qui riesco ancora a meravigliarmi.
Marco: inoltre è una delle poche città ad essere ancora sicura, si può rientrare da soli la sera senza problemi, per fortuna non c’è criminalità.
D: quali sono i vostri posti del cuore? Se doveste consigliare un posto da visitare, dove accompagnereste i vostri clienti?
Marco: poco distante da qui si trova la calle più piccola di Venezia dove porto tutti i miei amici: si tratta della calletta Varisco, nei pressi di Campo Widmann.
Fuori da Venezia invece consiglierei l’isola di Carbonera, l’isola più bella in assoluto e che adoro, ma bisogna avere una barca privata per potervi accedere. Su quest’isola negli anni 30 era presente un vecchio hotel ora in disuso. Esiste ancora una terrazza con una vista stupenda, che permette di vedere fino alle bocche di porto, Burano … lascia senza fiato.
Rachele: per me a Venezia Cannaregio resta la zona più bella in assoluto, con la Misericordia, il ghetto, con i suoi bacari uno dietro l’altro. Adoro anche la chiesa della Salute e le Zattere in generale, per una passeggiata o gustare un buon gelato.
D: Un’ultima domanda da non veneziana. Qual è la vostra definizione di venezianità?
Per noi è quella voglia di non arrendersi, di combattere.
Fuori Venezia è tutto più semplice: si prende la macchina e si va a fare la spesa; qui devi calcolare tutto, fare chilometri a piedi. Venezia è il tuo personal trainer, è quella che ti tiene in forma e che ti dà la voglia di muoverti.
Venezianità è sprint … essere sempre reattivi. E’ l’evolversi sempre.
Curiosità
Barene: le barene sono terreni tipici delle lagune, periodicamente sommersi dalle maree. Sono attraversate da canaletti naturali, detti ghebi, e ricoprono una notevole superficie della laguna di Venezia, soprattutto nelle zone nord e sud.
Esse rappresentano un piccolo paradiso per molte specie di uccelli e per un raro ecosistema di piante resistenti all’ambiente salino.
Questi habitat inoltre, sono sì delicati, ma portano importanti benefici all’uomo: ad esempio, favoriscono la biodiversità, moderano correnti e moto ondoso, supportano attività economiche come pesca ed eco-turismo, oltre a possedere un’elevata valenza paesaggistica.
Bassa marea: sentiamo spesso parlare di alta marea, ma è presente anche il fenomeno inverso, cioè della bassa marea, cioè la fase in cui il livello del mare si trova al di sotto della media a causa di attrazioni gravitazionali di corpi esterni
Non c’è posto, scorcio, angolo in questa città che lascia indifferenti. Meraviglie in ogni luogo, purtroppo a volte mangiate dal tempo, dall’abbandono o in attesa di un’idea o di una mano generosa che intervenga per riportarli a nuova vita.
Nonostante tutto, ci sono comunque luoghi che per determinati motivi entrano nel cuore e vi trovano un posto speciale.
A Venezia io ne ho trovati diversi e ve li racconterò strada facendo.
Il primo è senza dubbio il Casino Zane, oggi noto come Palazzetto Bru Zane – Centre de musique romantique française. Questo luogo racchiude in sé tanti elementi: è un tipico palazzo veneziano, è un progetto, un’idea, è un giardino armonioso, è un’équipe motivata, è coraggio, è rischio e in un certo senso anche una promessa d’amore.
Perchè mi è tanto caro? Perché ha rappresentato il mio debutto veneziano, in quanto vi ho lavorato per 4 intensi anni.
Ma andiamo per ordine
Innanzitutto: Casino Zane … ma cosa sono i casini?
I casini (da piccola casa) o i ridotti (da ridursi, cioè recarsi, incontrarsi) erano piccole stanze o appartamenti dediti al divertimento, alla pratica delle arti, come la musica o la poesia, al gioco e all’intrattenimento di vario tipo.
Più intimi e facili da riscaldare rispetto alle sale dei palazzi, nascono dalla necessità di ovviare ai divieti imposti dal Governo della Serenissima per limitare il gioco d’azzardo e, quando ancora bar e locali pubblici non esistevano, permettevano di poter continuare a divertirsi anche a tarda sera dopo il teatro.
Col tempo divennero un vero e proprio status symbol e nel 1744 se ne contano ben 118.
Oggi, purtroppo sono pochissimi quelli ancora visitabili.
Insomma, un concentrato di bellezza, talenti e tecniche artistiche in un solo e se vogliamo … piccolo spazio!
Ma ritorniamo al Palazzetto Bru Zane.
La storia
Il Palazzetto Zane era uno dei tanti casini presenti a Venezia.
Situato nel sestiere di San Polo, a pochi passi dalla Basilica dei Frari, il casino Zane venne fatto costruire sul finire del XVII secolo per volontà di Marino Zane, uomo colto e dal gusto raffinato, membro di una delle famiglie più importanti della città.
Marino affidò ad Antonio Gaspari, allievo dell’illustre architetto Baldassarre Longhena (a cui si deve la realizzazione della Basilica Santa Maria della Salute), la costruzione di un “casino-biblioteca” col fine di realizzare un luogo intimo e raccolto, distinto dai saloni di rappresentanza dell’abitazione di famiglia, l’adiacente Palazzo Zane, oggi sede dell’istituto tecnico Livio Sanudo.
Nasce così un piccolo gioiello dell’architettura veneziana, dedito a feste, incontri e soprattutto all’ascolto della musica. Si dice, infatti, che la figlia di Marino Zane amasse suonare il violino.
Per conoscere nel dettaglio la storia di questo luogo, vi consiglio di partecipare a una delle visite guidate gratuite proposte ogni giovedì pomeriggio.
Il giardino del Palazzetto Bru Zane
Ricordo ancora molto bene la mia prima volta al Palazzetto Bru Zane: era una tiepida mattina di dicembre del 2011 e mi sarei dovuta presentare per un colloquio di lavoro. Varcato il portone di ingresso, attraversai un piccolo giardino (magnifico durante la fioritura del glicine). Ebbi subito l’impulso di entrare in punta di piedi, quasi per non disturbare i vari putti posizionati alla mia sinistra. Una vera da pozzo al centro, subito calma e silenzio non appena chiusi il portone dietro di me.
Una volta all’interno del palazzetto, notai subito la sua architettura che riprende il tipico assetto del portego veneziano, composto da un’ala centrale di grandi dimensioni, da cui partono le altre stanze adibite a casino.
Intravidi un secondo ingresso costituito da una graziosa porta d’acqua e, sulla destra, un pavimento di marmi gialli, verdi e rossi attirò la mia attenzione. Notai un altro ingresso con affaccio su quello che doveva essere il giardino che separava il casino dal Palazzo Zane e una graziosa scala che porta al salone centrale, dove si dice abbia suonato Mozart durante il suo viaggio a Venezia nel carnevale del 1771.
Istintivamente alzai lo sguardo verso l’alto, ed ecco il primo colpo di grazia!
Rimasi letteralmente incantata dall’affresco presente sul soffitto, incastonato in una cornice di stucchi e festoni: Il Tempo che rapisce la Verità del pittore bellunese Sebastiano Ricci.
Salii al primo piano visitando l’elegante salone, il cuore del Palazzetto, ora una magnifica sala da concerto che si apre su due piani. Proseguii quindi al piano superiore lungo la balconata, a quanto pare attribuita ad Andrea Brustolon, detto il “Michelangelo del legno”.
Dopo averne ammirato la lavorazione, puntai naso e occhi verso un altro affresco del Ricci: Ercole tra la Gloria e la Virtù sul soffitto a volta della sala principale.
Nel corso dei 4 anni che seguirono avrò compiuto questo percorso non so quante volte ma sempre con lo stesso stato di meraviglia.
No, alla bellezza non ci si abitua e non ci si può abituare.
Ricordo che quasi come se fosse un bisogno, ogni volta che arrivavo in balconata, mi dovevo fermare davanti ad una delle finestre per osservare il giardino dall’alto, le altane delle abitazioni vicine e salutare la Basilica dei Frari. Solo dopo aver compiuto questo breve rituale, potevo congedarmi e scendere nuovamente.
L’idea, il progetto
“Esistono cause importanti al servizio delle quali si elaborano progetti innovativi, concepiti in modo chiaro, che portano un soffio di novità, ma che per concretizzarsi hanno bisogno dell’appoggio stabile di un partner motivato”
Nicole Bru
Nel corso dei secoli, il Casino Zane è appartenuto a diverse famiglie, restando sempre un’abitazione privata con la sua elegante facciata e il suo giardino privato.
Se oggi lo possiamo ammirare in questo stato e soprattutto frequentare, è grazie all’intervento della mecenate francese Mme Nicole Bru che per anni è stata alla guida dei laboratori farmaceutici UPSA.
Ricercatrice, imprenditrice di talento, amante di Venezia, Nicole Bru vi si è recata spesso in compagnia del marito Jean Bru. Avevano un sogno comune: poter realizzare qualcosa per Venezia, da sempre capitale culturale e crocevia di scambi artistici internazionali.
Nel 2006 Mme Bru scopre e si innamora di questo luogo dal fascino discreto, lontano dai circuiti turistici. E’ il colpo di fulmine e la promessa fatta con il marito, si concretizza.
Come ?
Acquistando questo palazzo del XVII secolo con l’obiettivo di portarlo al suo antico splendore. Iniziano intensi lavori di restauro, accompagnati da accurate ricerche d’archivio, con lo scopo principale di restituire questo luogo alla sua storia e far ritrovare all’edificio lo spirito dell’epoca e creare un luogo dedicato alla musica, arte che fu la sua vocazione originaria.
Sul sito del centro di musica potete visionare un interessante video del restauro.
Le Centre de musique romantique française
Il Palazzetto Zane diventa quindi il Palazzetto Bru Zane, sede del centro di musica romantica francese, il cui obiettivo è la riscoperta e la valorizzazione del patrimonio musicale francese del grande Ottocento (1780 – 1920).
Attraverso un’attenta ricerca musicale la missione del centro di musica è far riscoprire i compositori poco noti e le pagine dimenticate di compositori noti del romanticismo francese.
L’attività del Palazzetto Bru Zane arriva così a dissodare terreni ancora vergini: manoscritti inediti, fondi privati, raccolte non catalogate. Il lavoro dei ricercatori è presentato nel corso di convegni e valorizzato dall’edizione di libri e partiture. La produzione di concerti a Venezia, in primis nella magnifica sala del Palazzetto ma anche in altre location della città (come la Scuola Grande San Giovanni Evangelista) e nel resto del mondo, dà vita a opere rare, alcune delle quali mai eseguite in pubblico, nemmeno quando l’autore era ancora in vita.
Viene compiuto così un enorme lavoro di sensibilizzazione, che da qualche anno tocca anche i più piccoli con il progetto didattico “Romantici in Erba” che coinvolge con successo quasi mille alunni e una quarantina di classi delle scuole elementari della regione Veneto.
Vi ho incuriosito? Avete voglia di partecipare ad una visita o assistere ad un concerto? Qui di seguito alcune informazioni utili:
Palazzetto Bru Zane – Centre de musique romantique française
San Polo 2368 – 30122 Venezia
bru-zane.com
Visite gratuite guidate, tutti i giovedì pomeriggio:
L’espressione acqua alta o “aqua granda” in veneziano, si riferisce convenzionalmente alla marea che supera il valore di 80 cm sopra lo zero mareografico.
A questa quota le parti più basse della città di Venezia vengono sommerse dall’acqua di marea.
Fino alla quota di +80 cm un’alta marea à giudicata normale: solo lo 0,1% dei percorsi pubblici si allaga. Se l’acqua alta supera i 110cm si definisce “marea sostenuta”, oltre questa misura siamo in presenza di un’alta marea eccezionale.
Il punto più basso della città è il nartece o vestibolo della Basilica di San Marco, che si trova a quota +63 cm.
L’acqua alta a Venezia (alta marea) è un fenomeno che interessa la città solitamente nella stagione autunnale / invernale quando la marea astronomica, il vento di scirocco, il fenomeno della sessa in Adriatico – o tutti questi elementi insieme – determinano un maggior afflusso di acqua nella laguna di Venezia.
L’acqua alta non viene portata in città da un fiume o da un torrente in piena: quindi non si tratta di un’alluvione ma di un fenomeno naturale di avvicendamento delle maree: arriva infatti dal mare. L’acqua, pertanto, invade la città salendo con lentezza dai canali. Questa fase dura, di norma, alcune ore. Una volta raggiunto il picco massimo (che dura comunque poche ore) l’acqua inizia a defluire fino a lasciare, come unica traccia, le strade bagnate come quando piove.
In caso di acqua alta è importante seguire alcune regole comportamentali, ne riportiamo alcune suggerite dall’Associazione Veneziana Albergatori:
1) L’acqua alta non è pericolosa, è un fenomeno naturale che da sempre si verifica a Venezia periodicamente, soprattutto nella stagione autunnale-invernale. In questo periodo può succedere che solo in alcuni giorni si verifichi il fenomeno dell’acqua alta, spesso con un livello che interessa solo le parti più basse della città (Piazza San Marco). Una marea eccezionale (>= 140 cm) si presenta, statisticamente, 1 volta ogni 3 anni.
2) Quando è prevista l’acqua alta è consigliato munirsi di stivali in gomma alti almeno fino al ginocchio. E’ fortemente sconsigliato camminare a piedi nudi o in ciabatte. I vaporetti continuano il servizio modificando, a volte, alcuni percorsi, ma garantendo comunque l’accesso a quasi tutta la città.
3) Il Comune di Venezia predispone passerelle nelle vie principali della città: in questo modo si può visitare la città senza problemi. Piccolo suggerimento personale: le passerelle vanno usate per passare da un punto all’altro; vi attirerete sicuramente le ira di un veneziano se sostate a lungo e in gruppo per scattare delle foto !!!
4) Sulle passerelle tenere sempre la destra ed evitare di fermarsi improvvisamente
5) Le sirene di avviso suoneranno per segnalare una marea superiore a 110 cm (sul livello medio del mare)
6) La marea viene annunciata in anticipo ed è possibile monitorare le informazioni presenti sul sito del Comune o l’App Hi!Tide Venezia o tramite sms inviati a quanti si iscrivono all’apposito servizio informativo del Centro Maree comunale
7) La marea non è costante durante la giornata, ma sale per 6 ore e poi scende per 6 ore; generalmente il picco di marea non dura più di un paio d’ore.
Emozione, adrenalina, allegria, ecco ciò che accomuna il volo dell’angelo e lo “svolo” dell’aquila, i due eventi clou che sono ormai diventati parte integrante della programmazione del Carnevale di Venezia e che riuniscono migliaia di spettatori nella splendida cornice di Piazza San Marco.
Il primo apre ufficialmente la manifestazione, il secondo invece ne sancisce la chiusura.
Ma quali sono le origini di questi due voli?
Il Volo dell’Angelo ha una tradizione molto antica in quanto fece la sua comparsa nel Carnevale di Venezia nella seconda metà del 500.
In questa occasione un giovane acrobata turco riuscì, aiutato solo da un bilanciere, ad arrivare alla cella campanaria del Campanile di San Marco camminando sopra una lunghissima fune che partiva da una barca ancorata sul molo della Piazzetta. Nel percorso di ritorno invece raggiunse la balconata del Palazzo Ducale, porgendo i suoi saluti al Doge. Fu un’impresa spettacolare che riscosse molto successo tanto che l’evento, subito denominato Svolo del turco venne riproposto anche nelle successive edizioni del Carnevale come cerimonia ufficiale.
Per parecchi anni si esibirono solo funamboli di professione, poi anche molti giovani che volevano dimostrare il proprio coraggio e le proprie abilità.
Lo Svolo del Turco, nelle varie edizioni, subì diverse modifiche. Per molti anni, fu fatto scendere, a grande velocità, dal campanile fino alla loggia del Palazzo Ducale, un uomo vestito con delle ali e legato ad una fune con anelli metallici. Da questa modifica venne coniato il nome Volo dell’Angelo.
L’evento si tenne con queste modalità fino al 1759, quando l’esibizione finì in tragedia con la caduta dell’acrobata che si schiantò al suolo tra la folla inorridita. A seguito di questo tragico incidente, l’appuntamento fu vietato e il Volo dell’Angelo venne sostituito dal Volo della Colombina. Al posto del funambolo veniva infatti lanciata una grande colomba di legno che nel suo tragitto, partendo sempre dal campanile, liberava sulla folla fiori e coriandoli.
Sarà solo a partire dal 2001 che il volo dell’angelo verrà effettuato nuovamente da un’acrobata riportando in vita l’antico rito di omaggiare il doge che proclama l’inizio del Carnevale di Venezia in un tripudio di coriandoli. Dal 2010 l’acrobata è stato sostituito dalla vincitrice del concorso della Festa delle Marie. Un’altra curiosità è data dal fatto che dalla cella campanaria, si scendeva verso Palazzo ducale ma grazie all’intuizione di un direttore artistico di qualche Carnevale fa, l’Angelo viene fatto arrivare direttamente sul palcoscenico. Un complesso di cavi e contrappesi rende possibile questo volo senza danneggiare la città e nel pieno rispetto della sua architettura.
E’ stata Linda Pani, 20 anni, Maria della scorsa edizione del Carnevale, a rappresentare l’angelo di quest’anno.
Una giornata di sole e piena di colori (soprattutto l’arancione, data la presenza di Aperol, sponsor della manifestazione …) quella che ha fatto da sfondo al lancio della giovane Linda.
Ore 12, mi posizione a lato del palco, la piazza è gremita di gente, naso all’insù in attesa del lancio, a immaginare come sarebbe stato, a che velocità sarebbe scesa.
E se fossi io al suo posto, con 20 anni di meno ovviamente, lo farei? Oh sì, certo che mi lancerei sulla piazza più bella del mondo, con un vestito creato apposta per l’occasione.
Infatti, le parole di Linda a volo avvenuto, lo confermano.
“E’ stato fantastico, un sogno che si realizza, non dovevo piangere ma non sono riuscita a trattenere le lacrime e commuovermi, è stato brevissimo ma intenso, è proprio “volato”. Mi ero sempre ripromessa, fin da piccola, di non salire mai sul campanile di San Marco senza poterci scendere come l’Angelo, e così ho fatto: oggi è stata la prima volta che salivo lassù. E’ stata energia pura, a parole non si può descrivere, il pubblico che ti guarda, ti saluta, il sole, la Piazza, sono felicissima, un’esperienza meravigliosa. Un bel messaggio dopo l’acqua granda di novembre che dimostra come la città si sia ripresa subito, Venezia è salva ed è dei veneziani e non veneziani che la amano”.
Una Linda emozionata e forse ancora incredula per l’impresa compiuta, quella che arriva sul palco con uno splendido abito creato dall’atelier Stefano Nicolao.
Evidente l’ispirazione al tema ufficiale del Carnevale: un cuore che simboleggia l’amore, il gioco della gonna che ricorda quasi una giostra e la follia di mescolare dei materiali creati apposta per l’occasione.
L’abito è composto, nella parte superiore, di un bustino in seta arancione con effetto laminato doppiato in macramé aranciato, di un cuore frontale ricamato con pietre e cristalli veneziani, le maniche ad ala in doppio cristal plissé e, sul collo, oro e piume oro e bianche. L’ampia gonna invece, articolata in molteplici spicchi, con un abbassamento in macramé aranciato, si completa di sottogonna armata, calze e calzature.
Vi consiglio di visionare il video della creazione disponibile sul sito dell’atelier.
Il volo dell’Angelo 2020
Il volo dell’Aquila
Visto il successo del Volo dell’Angelo, da qualche anno a questa parte è stato istituito un altro volo acrobatico sulla folla festante di Piazza San Marco: il volo dell’Aquila, appuntamento mirato a far rivivere le tradizionali “machine” sceniche che venivano usate nella Serenissima durante l’epoca rinascimentale, quando turchi, apparati scenici, barche e animali “svolavano” su Piazza San Marco.
I protagonisti? Solitamente campioni dello sport italiano, come la pattinatrice artistica Carolina Kostner (2014) o la campionessa paralimpica Giusy Versace (2015).
Quest’anno si è cimentato il campione di discesa libera Kristian Ghedina.
Ho avuto la fortuna di incontrarlo alla vigilia del lancio e la sua allegria è contagiosa:
“Sono contento, è un privilegio non da tutti. Io avrò la fortuna di poter vedere Piazza San Marco gremita di gente dall’alto. Stare in aria è sempre stata la mia passione, non sono preoccupato, è un evento che si fa da anni, tutto è perfettamente strutturato.Scenderò con una bandiera importante, quella dei campionati mondiali di sci alpino di Cortina 2021. E’ un mondiale che rappresenta tutta la nazione e posso portare l’italianità in giro nel mondo. Ovviamente c’è un po’ di paura per domani, ma sono un fatalista, vivo alla giornata. Con il mio mestiere è normale, c’è sempre un po’ di tensione che aumenta quando ci si avvicina all’evento. La definirei piuttosto tensione da prestazione”.
Il suo rapporto con Venezia? La considera una città bellissima, ma la frequenta poco, bisogna viverla per poterla apprezzare al meglio. Infatti rivela:
“sono sempre di fretta, e forse qui diventerei matto per i tempi che la città ti impone, visto che devi spostarti sempre a piedi. Noi siamo degli zingari vagabondi, gli impegni aumentano sempre di più e sono costantemente in giro con la valigia sempre pronta”.
Ma eccoci a domenica. Una giornata particolare, cielo grigio e nell’aria è palpabile la preoccupazione per il diffondersi del coronavirus.
Questa volta faccio meno fatica a raggiungere la Piazza, c’è molta meno gente rispetto alla domenica precedente, quasi nessun blocco e le calli sono facilmente percorribili.
Purtroppo in tanti si stanno preparando a lasciare Venezia e chi sarebbe dovuto venire solo in giornata ha cambiato i suoi programmi. Ho la sensazione che ci sia la voglia di portare avanti la festa ma la testa è altrove.
La grinta e il sorriso di Kristian Ghedina restano però intatti.
Sulle note di Whole Lotta Love dei Led Zeppelin nella versione di Santana, Kristian Ghedina si è lanciato dal campanile di San Marco con ai piedi i suoi immancabili sci diventati, come lui stesso sostiene, orami un prolungamento dei suoi piedi, e riuscendo a rievocare in volo la spaccata fatta a 140km/h sullo schuss finale di Kitzbuhel nel 2004, una delle sue “folli” imprese sugli sci diventate, poi, storia. Tra le sue mani, come annunciato, la bandiera dei Mondiali di Cortina 2021 di cui è Ambassador.
E vogliamo parlare del costume che ha indossato? Un abito di carte da gioco e sulle spalle un cuore rosso fuoco, creazione dell’Atelier Pietro Longhi. Un costume che lo stesso Ghedina ha definito da “samurai” e che lo rappresenta perfettamente perché i samurai sono dei combattenti.
“Un vestito azzeccato per la mia figura, per quello che ho incarnato nella mia carriera sportiva. Mi piace combattere contro le difficoltà.
Interpretare l’Aquila per me è stato un privilegio, stare in aria è sempre stata la mia passione e aver avuto l’opportunità di “sciare” sulla piazza più bella del mondo è stata un’emozione».
Volo dell’aquila con Kristian Ghedina e Cristina Chiabotto